Convegno "Giustizia e Costituzione", Varese, dicembre 1975
Convegno “Giustizia e Costituzione”
Varese, dicembre 1975
Luigi Granelli, Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri
Sono molto lusingato di poter intervenire, sia pure a titolo personale, a questo interessante seminario, perché il tema è di grande importanza per l'avvenire del nostro paese e il contributo di tutti si impone non solo per l'approfondimento teorico dei temi, ma anche per avviare un processo nel quale concretamente si possano rimuovere le cause che rendono il fenomeno preoccupante.
Siamo tutti consapevoli di una crescente perdita di credibilità delle nostre istituzioni, dal parlamento alla Magistratura, dal Governo agli organi di controllo, e sappiamo anche che la salvezza delle istituzioni richiede un'azione rapida di ripristino del loro prestigio. Non è infatti secondario che attorno ¡n questa crisi che investe le istituzioni nel loro insieme, cresca nel Paese una domanda di giustizia e di certezza del diritto che sarebbe grave lasciar cadere nel moralismo impotente, che si può tramutare poi in qualunquismo, in fuga dalle responsabilità pubbliche, dal momento che la loro assunzione e il loro esercizio viene considerato inutile o addirittura pericoloso.
Partendo da questa constatazione realistica, il contributo che io vorrei dare alla discussione è orientato ad individuare due ordini di intervento che mi sembrano essenziali.
Il primo riguarda le misure urgenti per ridare moralità ed efficienza non solo alla pubblica amministrazione, ma al complesso delle attività dei pubblici poteri. Per fare ciò è certamente necessario snellire procedure a livello legislativo, modificare comportamenti, dare forza di esemplarità agli interventi contro le deviazioni palesi ed occulte che è possibile rilevare, ma è anche necessario non vedere i problemi sotto un profilo meramente penale. Infatti anche il controllo amministrativo, il controllo politico, lo stesso ricambio della classe dirigente, hanno - in questa direzione - una loro efficacia.
Non ho competenza specifica per dire più di quanto nella giornata di ieri è stato detto egregiamente in ordine alle modifiche che riguardano le procedure penali, l'esercizio delle funzioni di controllo, il rapporto tra responsabilità pubblica e corrispondenza con i fini di carattere generale. Però, nel momento in cui mi associo a questa domanda di giustizia e di certezza del diritto, voglio anche sottolineare che queste misure urgenti saranno possibili ed efficaci se si ricollegheranno ad una strategia complessiva delle istituzioni, che investe problemi di struttura e non solo di metodo e di comportamento. Dico questo anche se è necessario, nell'affrontare questo secondo problema, una profonda volontà di autocritica, una profonda capacità di riconoscere il tempo che si è perduto e gli errori che si sono compiuti negli ultimi anni della nostra vita democratica. Ritengo infatti sia errato credere che la crisi dello Stato in Italia si possa risolvere togliendo di mezzo gli inetti, dando qualche ritocco marginale alle procedure, stimolando l'efficienza degli apparati amministrativi, burocratici o politici. Spesso, per sfuggire alle scelte politiche che richiederebbero un discorso più approfondito, si avanza la solita considerazione del divario che esiste tra la società che è cambiata e le istituzioni che sono rimanete ferme, pur in presenza. di compiti, di necessità di intervento, sempre più vasti. Evidentemente ciò determina un gap sempre più grave tra ciò che la società chiede ai pubblici poteri, e ciò che essi sono in grado di dare all'interno della legislazione attuale.
Il dire però che la società è cambiata e si è fatta più esigente, mentre lo Stato è rimasto fermo e impermeabile ai cambiamenti della società, significa dire una cosa astratta se non si tiene conto che lo Stato che noi abbiamo non è quello delineato dalla Costituzione nel 1947, ma in larghissima misura è lo Stato che i Costituenti stessi avevano ereditato dal periodo precedente. Perciò, se il problema degli interventi a medio periodo, per moralizzare, per rendere efficiente, per colmare il divario fra società e Stato è urgente, altrettanto urgente è inserire queste misure a medio termine in una ripresa di politica costituzionale che affronti i temi della revisione dell'ordinamento statuale in armonia con le impostazioni della Costituzione. In effetti, se oggi avessimo incarnato nelle istituzioni e non soltanto disegnato nella Carta fondamentale della nostra Repubblica lo Stato previsto dai costituenti, il distacco fra la società a lo Stato sarebbe minore, l'efficienza sarebbe più garantita, il controllo sarebbe più puntuale e minori sarebbero le deviazioni dai compiti attribuiti.
Il problema strategico di fondo è perciò, a mio avviso , quello di ritornare a vedere le indicazioni che la Costituzione aveva dato in ordine alla trasformazione democratica dello Stato, in primo luogo fondando democraticamente attorno ad un sistema di autonomie le stesse legittimazioni del potere, e in secondo luogo rompendo il centralismo con articolazioni che avrebbero garantita la funzionalità. Dobbiamo dire, con un certe rammarico, che la stessa creazione delle Regioni; a statuto ordinario poteva essere una grande occasione di riforma generale dello Stato, e forse potrà ancora esserla se saprà resistere alla tendenza di aggiungere, a quanto già esiste, un altro livello di amministrazione e di legislazione, aumentando purtroppo la confusione dei poteri, e saprà invece operare per la semplificazione dei poteri stessi.
Partendo da questa premessa, mi limiterò ad indicare tre esempi concreti per dimostrare che il problema di fondo è quello di riprendere una funzione di grande legislazione che modifichi le strutture fondamentali del Paese.
Il primo esempio riguarda l'intervento pubblico in economia. Non vi è dubbio che si tratta di un processo in continua espansione, espansione provocata in questi ultimi tempi dalla crisi economica per cui da più parti si invoca il "salvataggio” da parte dallo Stato. Nella nostra Carta Costituzionale si delineava in maniera abbastanza chiara la funzione dell'intervento pubblico in economia, ma in carenza di una legislazione organica sulla materia si è allargata di fatto la presenza dell'operatore pubblico senza dare al tempo stesso, certezza di diritto e finalità di orientamento all'intervento in questione. Esiste oltretutto una sostanziale diversità, che si traduce al fondo in ingiustizia, tra i diversi soggetti dell'intervento pubblico in economia. L’Ente pubblico ha infatti tradizionalmente risorse scarse, discrezionalità assai ridotta, procedure lente e complesse, e rischi ormai non più sottovalutabili di violazioni di obblighi o divieti, mentre le imprese pubbliche per la loro natura giuridica, hanno un massimo di discrezionalità e un minimo di controllo e sono in grado di mobilizzare risorse finanziarie assai cospicue. Negli ultimi anni è addirittura diventato del tutto incerto il confine che divide la sfera della responsabilità pubblica da quella privata. Quando infatti le società sono al 50%, o le partecipazioni variano con una certa frequenza, il controllo diventa assai problematico.
Del resto non credo che la logica del mercato, come diceva il prof. Lombardini poco fa, possa, dare un contributo determinante alla funzionalità e alla moralità di questi grossi organismi. Prendiamo l'esempio delle banche. Cinque fra le maggiori banche nazionali sono pubbliche o di interesse nazionale, ma fino a quando saranno guidate, in base alla legge bancaria del 1936, con criteri puramente privatistici quali sano quelli del profitto e delle garanzie patrimoniali, sarà ben difficile che adottino criteri di selettività del credito bancario volti a sostenere l'occupazione o produzioni di elevato valore sociale e neghino credito alla speculazione immobiliare che può offrire garanzie patrimoniali cospicue. Non è quindi il banchiere, sotto l'impulso del mercato, che può orientare la sua azione in funzione pubblica, così come non è il magistrato, o la Corte dei Conti, che possono mettere ordine e dare nuovo impulso al settore pubblico dell'economia, ma è il legislatore che deve abbandonare il terreno delle leggine di tamponamento e deve dare al sistema un indirizzo organico complessivo? Il secondo esempio riguarda il problema della contabilità pubblica. Tutti coloro che hanno avuto o hanno qualche responsabilità di amministrazione o di governo sanno bene che non è possibile far fronte ai compiti crescenti della pubblica amministrazione se non si rivede fondamentalmente la legge sulla contabilità pubblica, che prevede una serie di passaggi, di pesantezze burocratiche, di controlli formali, mentre sono scarsi i controlli di merito che consentirebbero invece di esercitare una puntuale funzione di controllo sulla sostanza dell'andamento della pubblica amministrazione. Collegato al problema della contabilità nazionale è il problema del bilanciò di competenza che, come è noto, è determinato dalle decisioni di stanziamenti non immediatamente eseguiti. La conseguenza è la formazione di residui attivi e passivi, che ogni esercizio vanno ad accumularsi ad altri, rendendo oltretutto assai difficile e incerta la funzione dei controlli.
Per dare perciò ordine e chiarezza alla contabilità dello Stato è necessario rivedere la stessa impostazione del bilancio dello Stato e successivamente le strutture burocratiche, amministrative a contabili, e all'interno di esse stabilire le specifiche responsabilità.
Terzo ed ultimo elemento cui vorrei accennare è quello della distinzione dei poteri e dell'equilibrio tra di essi. Se dalla Costituzione del 1947 noi traiamo l’ispirazione programmatica e politica di fondo, che è quella del cambiamento e della trasformazione dello Stato in tutte le sue articolazioni, comprendiamo che la virtù maggiore della nostra Costituzione è stata 1'introduzione del criterio dell'equilibrio tra i poteri e della funzione specifica assegnata ad ogni potere. In realtà noi stiamo di fatto avvertendo uno sconfinamento di poteri e di funzioni. Per la mia esperienza parlamentare posso dire che la funzione legislativa si è essenzialmente spostata dal Parlamento all'esecutivo, perchè le leggi che vengono discusse e approvate dal Parlamento della Repubblica sono in larga misura di iniziativa governativa, mentre quelle di iniziativa parlamentare arricchiscono gli archivi delle due Camere. Ma anche l'esecutivo non sempre è nelle condizioni di assumere le responsabilità che gli sono proprie, per la difficoltà di mettere in sintonia la volontà politica con le decisioni operative di carattere amministrativo, con la lentezza delle procedure, con gli infiniti ostacoli di natura burocratica.
Gli stessi organi di controllo subiscono poi interferenze da parte dell'esecutivo. In particolare ritengo che si dovrebbe porre rimedio al fatto che componenti di organi di controllo, quali il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti, entrino a far parte di Ministeri, rendendo assai ambigua la. figura del controllore e dal controllato. Dico questo, naturalmente, non per fare del moralismo, ma perchè ritengo che sarà possibile ricondurre ad un corretto comportamento tutti gli organi dello Stato, se ogni potere si assume fino in fondo le sue responsabilità ed eserciterà fino in fondo le sue funzioni.
L’osservazione finale cha voglio proporre come conclusione del mio intervento è di tipo politico, e di ciò mi scuso con i giuristi presenti. Se noi vogliamo metterci, oltre che sul terreno degli interventi a breve per moralizzare e dare efficienza alle istituzioni, sul terreno di una strategia di lungo periodo che riprenda il discorso della Costituente, per riformare e ordinare in modo diverso le nostre istituzioni pubbliche, dobbiamo porci il problema politico della forza a cui affidare un compito di questo genere. Ora non vi è dubbio che il compito di trasformare le istituzioni secondo il modello voluto dalla Costituzione spetta in via primaria al Parlamento, concepito non più come sede di ratifica di decisioni già prese in sedi più ristrette, ma come organo dello Stato che rispecchia le forze reali del Paese, le loro tensioni, i loro programmi, le loro distinzioni, e che è in grado di ricostituire quel clima che nella stagione della Costituente rese possibile la realizzazione della Costituzione. Per questo mi sembra non si debba mortificare il rapporto tra governo e opposizione, ma anzi, di fronte ai problemi costituzionali dell'ordinamento dello Stato debbono cadere gli schematismi a priori e le varie forme di incomunicabilità. Infatti, in un ordinamento democratico, le diverse forze politiche possono alternarsi al governo e all'opposizione, ed è quindi interesse di tutte le forze sinceramente democratiche confrontarsi ed operare per il rinnovamento delle istituzioni ed il miglioramento dell'efficienza delle strutture amministrative.